giovedì 17 febbraio 2011

- Una storia italiana - episodio 16: Azzurra, la nave della libertà.

AZZURRA, LA NAVE DELLA LIBERTÀ

Primavera 2000, una grande nave tocca dieci porti. È Azzurra, l’auditorium galleggiante di Silvio. Da Genova a Napoli, da Catania a Venezia sui mari d’Italia sventola la bandiera di Forza Italia

31 marzo 2000. Genova. Sotto una pioggia battente, migliaia di persone fanno la fila per imbarcarsi sulla grande nave attraccata al porto. È Azzurra, un gigantesco traghetto della Grimaldi Lines la cui stiva viene trasformata in un vasto auditorium capace di ospitare 5mila persone. Per aprire la campagna elettorale delle Regionali – una campagna difficile quanto aspra – Silvio Berlusconi ha voluto circumnavigare la penisola e toccare dieci porti, dieci regioni. Ancora una sfida. L’ennesima. Non a caso il Presidente ha voluto inaugurare la crociera elettorale proprio nel porto di Genova, una delle roccaforti del comunismo italiano e non a caso Berlusconi, più che parlare della campagna elettorale, parla della libertà, il bene più grande da cui derivano tutti gli altri beni. “La libertà – spiega – è l’essenza dell’uomo, l’essenza della sua intelligenza e del suo cuore, della sua capacità di amare e di creare”. “La libertà è come una corda tesa che non si spezza d’un colpo ma si allenta, si sfilaccia, si infeltrisce e diventa infine libertà minore, libertà condizionata, libertà limitata, libertà che non c’è più. (poeta!) Parla soprattutto ai giovani con l’intento “di farli innamorare di più, in maniera più profonda e consapevole (se poi non basta a farli/e innamorare, li compriamo), di un bene la cui importanza si coglie appieno soltanto quando lo si perde. Come succede per l’aria, la salute, la pace. Le due terribili ideologie che hanno insanguinato il secolo scorso hanno saputo affascinare i giovani. Il comunismo, che si è presentato come il bene assoluto, come una grande utopia, la Gerusalemme celeste trasportata in terra. Ma poi si è rivelato essere l’impresa più criminale e disumana della storia dell’uomo. Eppure ha affascinato milioni di giovani e, ancora oggi, una certa cultura lo considera come “un bene” che non si è realizzato. Anche l’altro totalitarismo, il nazismo, ha affascinato molti giovani perché ha saputo vellicare gli istinti più bassi (c'è un che di leghista in tutto ciò...), gli istinti più belluini e feroci, la volontà di dominio sugli altri, il delirio di onnipotenza. Il liberalismo, la nostra filosofia, la nostra religione della libertà non ha un appeal così immediato, così forte, altrettanto penetrante nelle giovani menti. Per questo io sono qui, per accrescere il vostro amore, la vostra passione per la libertà. Voglio farvi innamorare della libertà” (ah incallito seduttore!). E ancora: “La libertà è la possibilità di utilizzare “liberamente” le nostre conoscenze, le nostre risorse, i beni che legittimamente possediamo con l’unico limite di non ledere i diritti degli altri”. “È il primo diritto che ci appartiene come persone, come uomini e donne, per diritto naturale. Non è graziosamente concesso dallo Stato, anzi è ad esso anteriore, viene prima dello Stato che ha come principale compito proprio quello di garantirci l’esercizio della libertà”. Il secondo scalo è altrettanto significativo. Livorno è la città rossa per eccellenza, qui è nato nel 1921 il Pci (tra le tante libertà, c'è anche la libertà di provocazione!). Anche a Livorno, cuore della Toscana rossa, migliaia di persone vengono ad ascoltare Berlusconi. Quel giorno il leader di Forza Italia, assieme a Marcello Pera, Gaetano Pecorella e Sandro Bondi, discute di giustizia e “giusto processo” (un trust di cervelli raffinati per un argomento così poco dibattuto). Domenica 2 aprile una Napoli entusiasta accoglie Azzurra: una flotta di imbarcazioni attende nel Golfo la grande nave e nel cielo gli aerei “della libertà” salutano l’ammiraglia di Forza Italia (ritorno alla sobrietà di cui si vantava nel primo episodio...). Davanti al calore dei partenopei Berlusconi si emoziona: “È uno spettacolo toccante. Continueremo la nostra crociera-crociata per la libertà, con nel cuore il ricordo di una giornata davvero indimenticabile”. Stesso calore a Catania, a Reggio Calabria e a Bari. Le genti del Sud festeggiano e acclamano Berlusconi con spettacoli folcloristici, bande musicali e tanta amicizia (danze tribali intorno al fuoco, sacrifici umani, cocktails a base di testicoli di toro...). Nei porti di Bari, Pescara, Ancona, Rimini, Venezia, decine di migliaia di persone attendono l’arrivo di Azzurra. Sono quasi centomila le persone che si succedono nel grande auditorium della nave. È un successo mediatico senza precedenti. I sessanta giornalisti ospitati a bordo riempiono quotidiani e televisioni con i resoconti giornalieri dei discorsi e delle conferenze stampa del Presidente. Nella città di San Marco decine di imbarcazioni accompagnano in corteo Azzurra lungo il Canal Grande mentre una folla di veneziani applaude dalla riva. Berlusconi ricorda la scadenza delle elezioni regionali del 16 aprile: “una scelta di campo fra la certezza della libertà e il forte rischio di un regime”. Un augurio e una speranza che pochi giorni più tardi si sarebbero realizzati pienamente, con una nuova ed amplissima vittoria.


LA VITTORIA DI PRIMAVERA

16 aprile 2000. L’Italia cambia volto. Le votazioni per l’elezione diretta dei presidenti e dei consigli delle 15 Regioni a statuto ordinario consacrano la vittoria della Casa delle Libertà che conquista il Piemonte, la Lombardia, il Veneto, la Liguria, l’Abruzzo, il Lazio, la Puglia e la Calabria, che si aggiungono così alla Sardegna e al Friuli-Venezia-Giulia. I numeri sono chiari. Per la sinistra si tratta di una sconfitta bruciante. Il giorno seguente Massimo D’Alema è costretto a rassegnare le dimissioni. Ma, nonostante l’indiscutibile verdetto popolare, la maggioranza delegittimata dal voto rifiuta di tornare alle urne e sottoporsi al vaglio delle elezioni. Pur di restare al potere la sinistra forma un nuovo governo designando come presidente del Consiglio Giuliano Amato, che non si era neppure presentato come candidato al giudizio degli elettori (ma ditemi voi!). Il mancato raggiungimento del quorum nei referendum del 21 maggio, segna un’ulteriore grave sconfitta della sinistra. Intanto l’elezione dei “governatori” regionali dà un forte impulso alle richieste di autonomia e di federalismo e il 26 luglio, in Sicilia, una giunta di centrodestra sostituisce quella di centrosinistra. Il successo della primavera 2000 è anche e soprattutto la vittoria di Silvio Berlusconi e della sua leadership. Per il leader di Forza Italia è, infatti, tempo “di assegnare allo Stato centrale le materie che gli competono (la politica estera, la difesa, la giustizia, le grandi infrastrutture nazionali, frutto di una programmazione centrale), mentre alle nuove autonomie regionali saranno assegnate la sanità, la scuola, la formazione professionale, ma anche la politica fiscale nel senso che il prelievo e la spesa debbono essere vicini ai cittadini, laddove si producono le risorse. Una parte del gettito fiscale deve essere attribuita allo Stato centrale per l’assolvimento dei suoi compiti irrinunciabili e a un fondo di solidarietà da assegnare alle regioni economicamente più svantaggiate. Il resto deve essere amministrato dalle Regioni che lo producono e sottoposto al controllo ravvicinato da parte dei cittadini. Tocca a loro il giudizio sulla corrispondenza fra le risorse messe a disposizione delle amministrazioni e i servizi forniti ai cittadini”. Ma, e Berlusconi lo sa bene, le regionali segnano anche l’inizio della lunga campagna elettorale per il rinnovo del Parlamento, una scadenza che allarma la sinistra e i suoi alleati. Non a caso, proprio dopo la vittoria di primavera ricomincia la campagna contro il leader di Forza Italia. Come e più che in passato, vengono mobilitati tutti gli strumenti, tutti i mezzi per attaccare, demonizzare e criminalizzare il fondatore di Forza Italia che, ancora una volta, risponde con ferma determinazione (qua, come colonna sonora, ci starebbe bene Heroes...). Con i fatti, contro le parole vuote. Sul conflitto d’interessi, Berlusconi sottolinea che quando sarà Presidente del Consiglio proporrà “al Parlamento un disegno di legge che, una volta varato, diventerà la norma a cui mi atterrò scrupolosamente (chissà, forse siamo ancora in tempo nei prossimi due anni di legislatura...). Ma mi si consenta di aggiungere che gli italiani nella loro grande maggioranza mi votano perché sono convinti che l’ultimo pensiero di Berlusconi sarà quello di approfittare della carica di Presidente del Consiglio, una posizione esposta a tutti i controlli possibili e immaginabili (in effetti, qui devo dargli ragione: la Presidenza del Consiglio è l'ultimo dei suoi pensieri. Anche perchè, come dice il proverbio: tira più un pelo di f...). Gli italiani pensano, viceversa, che altri possano essere tentati di favorire gli amici o gli amici degli amici, ma sono sicuri che io non potrò mai essere né tentato né comprato da nessuno” (nè ricattato, aggiungo io!).


I VALORI DELLA LIBERTÀ

In una delle sue prime interviste politiche Silvio Berlusconi dichiarò seccamente: “Io sono, come diceva Raymond Aron, un anticomunista senza complessi”. E, dunque, senza timori, senza reverenze, senza mediazione. E in un’altra più recente: “L’anticomunismo è un dovere morale della memoria”. Dal rifiuto netto del totalitarismo marxista, dalla denuncia senza remore degli errori e degli orrori del comunismo – il “dio che ha fallito” – il leader di Forza Italia ha poi sviluppato una precisa filosofia della libertà. Per Berlusconi, infatti, “la libertà non è qualcosa di generico, è la libertà individuale, la libertà di ogni individuo, di tutti gli individui. La libertà non è mai conquistata una volta per tutte (nè, tantomeno, è uno spazio libero...). La si conquista giorno per giorno combattendo coloro che vogliono limitarla nelle scuole, nello sport, nel lavoro, nella attività politica, nei rapporti con lo Stato. Il prezzo della libertà è l’eterna vigilanza. Difendere la libertà, sempre e dovunque, è la missione più alta, più nobile, più entusiasmante”. Al tempo stesso non vi è alcun alibi per l’egoismo e lo sfruttamento. Anzi. “Per noi la migliore società è quella dove vi è il maggior benessere possibile per il maggior numero di persone. Nessuna produzione di ricchezza può esistere se la libertà individuale non viene rispettata”. Perciò è necessario battersi per “un’economia sociale di mercato non distorta dai privilegi, un’economia che corrisponda ai valori fondamentali dell’etica laica e cristiana e che promuova la prosperità generale”. Ecco perché è indispensabile avere “la consapevolezza che bisogna prima creare ricchezza per poterla poi distribuire ai meno fortunati, a coloro che per molti motivi non sono stati toccati dalla diffusione del benessere. Questo è quello che noi abbiamo sempre messo in pratica e che portiamo nel cuore”. Su questi principi Silvio Berlusconi ha incardinato il suo impegno politico e sociale. Lo confermano, una volta di più, i suoi libri “L’Italia che ho in mente” e “Discorsi per la democrazia”, editi da Mondadori. Il primo è una selezione dei tanti discorsi a braccio pronunciati da Berlusconi in questi anni di lotta politica e offre uno spaccato unico della storia di Forza Italia; si va dal primo discorso del febbraio 1994 alla commemorazione del decennale della caduta del muro di Berlino, dall’apertura del primo Congresso Nazionale di Forza Italia all’intervento alla prima assemblea nazionale di Azzurro Donna e ai discorsi in occasione del Tax day e del Security day. I “Discorsi per la Democrazia” sono invece una raccolta dei più significativi interventi parlamentari di Silvio Berlusconi che testimoniano la coerenza della sua azione politica e la sua fede nella democrazia fondata sul rispetto della volontà degli elettori e sul diritto dei cittadini di vedersi fedelmente rappresentati in Parlamento dai loro eletti (il porcellum era ancora lontano). “Per la semplicità del linguaggio e la incalzante forza espressiva, questi discorsi rappresentano incontestabilmente – scrive l’editorialista della Mondadori – uno degli esempi più alti e più nobili di oratoria parlamentare nella storia della Repubblica”.


QUESTO È LO STATO LIBERALE

Lo Stato non è qualche cosa di superiore, è semplicemente un’associazione tra persone. Noi decidiamo, per vivere meglio, di darci delle regole condivise, di dare vita a una convenzione che è lo Stato. Le persone quindi vengono prima dello Stato; la società civile, il rapporto che c’è fra tutti noi, viene prima dello Stato e ad esso noi affidiamo il compito primo di difendere i nostri diritti, di garantire a tutti e a ciascuno l’esercizio dei nostri diritti. Per questo c’è lo Stato e tutti coloro che lo impersonano, che ne sono l’incarnazione, tutti gli uomini dello Stato sono, come tali, nostri dipendenti, sono al servizio dei cittadini. Non possiamo accettare che lo Stato voglia controllare tutto e tutti, che voglia invadere la nostra vita, che pretenda di regolamentare tutte le nostre attività, che pretenda di imporci sempre più tasse, sempre più regole, sempre più divieti! Vogliamo essere cittadini, non sudditi. Quindi siamo di fronte a due teorie di base, a due filosofie, a due concezioni completamente opposte, inconciliabili tra loro, e che spiegano perché i protagonisti della sinistra, che hanno cambiato simboli e nome ma sono sempre gli stessi, continuano con coerenza a voler dominare la società, ad avere una mentalità statalista, dirigista, giustizialista. Non possono e non vogliono cambiare (tra le fonti d'ispirazione dei suoi discorsi, sembra davvero esserci la sceneggiatura di Rocky IV!).





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1 commento:

Anonimo ha detto...

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