NASCE FORZA ITALIA
1994: i partiti di origine democratica ed occidentale che hanno governato l’Italia per cinquant’anni (lasciando peraltro una pesantissima eredità in termini di debito pubblico ai governi Berlusconi) sono stati eliminati dalla “rivoluzione giudiziaria”. Contro tutto e tutti, Silvio Berlusconi lancia la sua sfida e chiama i moderati a raccolta
26 gennaio 1994. Tutti i telegiornali trasmettono il messaggio di Silvio Berlusconi che annuncia di aver rassegnato le dimissioni da tutte le cariche sociali del Gruppo che ha fondato (un primo passo fondamentale, senza il quale mai avrebbe potuto farsi carico di un tale impegno!), per “mettere la mia esperienza e tutto il mio impegno a disposizione di una battaglia in cui credo con assoluta convinzione e con la più grande fermezza”. La sfida è lanciata, Berlusconi è sceso in campo. L’effetto è enorme. La decisione ha l’impatto di un terremoto: improvvisamente gli scenari della politica italiana vengono sconvolti, tutte le previsioni elettorali si rovesciano, la “invincibile macchina da guerra” della sinistra (talmente invincibile da aver vinto soltanto due volte le elezioni politiche: nel 1996 e nel 2006, dopo la discesa in campo di Silvio) si trova sulla strada del potere un ostacolo imprevisto, i moderati e i democratici, rimasti privi di una rappresentanza politica trovano un nuovo punto di riferimento. Berlusconi ricorda così quei momenti: “C'era nell'aria una grande paura, un grande timore, si pensava che il futuro dell'Italia potesse essere un futuro illiberale e soffocante se i comunisti di prima e di dopo fossero andati al governo. Ma c'era anche una grande voglia di cambiamento, una voglia di rinnovamento del modo stesso di fare politica, una voglia di rinnovamento morale, una voglia di un nuovo modo di esprimersi della politica. Non più quel linguaggio da templari che nessuno capiva: si sentiva il bisogno di un linguaggio semplice, comprensibile e concreto (un linguaggio più diretto, c'era bisogno di parlare come si mangiava!). Era la fine del '93. L’Italia aveva conosciuto il fenomeno di Tangentopoli e aveva visto penalizzata tutta o quasi tutta la classe dirigente dei partiti democratici occidentali. La Procura di Milano aveva colpito indirizzando molto bene i suoi colpi. Erano stati eliminati praticamente tutti i piccoli partiti, il partito Liberale Italiano, il partito Social Democratico, il partito Repubblicano, il partito Socialista. Anzi, non tutto il partito Socialista, ma gli esponenti che non erano di sinistra del partito Socialista e la stessa cosa era avvenuta per la Democrazia Cristiana. La sinistra aveva fatto approvare una nuova legge elettorale, della quale si fecero le prove con le elezioni amministrative dell'autunno. Con il 34% dei voti la sinistra riuscì a conquistare l'80% dei comuni e chiese quindi al Capo dello Stato di sciogliere le Camere e di indire nuove elezioni. Le ottenne, e in molti cominciammo a preoccuparci perché vedemmo che i partiti moderati, o meglio quello che era rimasto dei partiti moderati, non avevano capito che, per competere, con quella nuova legge bisognava sommare voto a voto, come aveva fatto benissimo la sinistra. Antichi odi, antipatie, rancori li dividevano e quindi non riuscirono a trovare un accordo. Ricordo benissimo di avere fatto dei sentieri alla volta di questi protagonisti, cercando di convincerli a ragionare. Ci sentimmo quasi costretti, in quel frangente, a cercare una soluzione. Era difficile trovare il coraggio: mi ricordo ancora di quanti dubbi, di quanti interrogativi, di quante discussioni, di quante notti passate ad occhi aperti e questo coraggio non ci veniva, dobbiamo confessarlo. Poi lo trovammo, fu con noi, è rimasto con noi in questi anni, è ancora qui presente e sarà con noi da qui in avanti!”.
Il 15 gennaio 1994, il Presidente Scalfaro, dando seguito alla richiesta della sinistra, scioglie le Camere e annuncia le elezioni anticipate. Dopo tre giorni, il 18 gennaio, Berlusconi fonda ufficialmente Forza Italia. Il dado è tratto (alea iacta est! esclamò lui, gran conoscitore di latino). Il Presidente attende ancora “un miracolo” da parte dello schieramento moderato, ma i vecchi politici “decidono di non decidere”. Non si può perdere altro tempo: il 26 gennaio si apre per l’Italia una nuova fase.
6 FEBBRAIO 1994, L’INIZIO DELLA GRANDE AVVENTURA
Roma, domenica 6 febbraio 1994. Palafiera. Ore 12.30. Una platea di migliaia di cittadini venuti da ogni parte d’Italia accoglie in un applauso che sembra non avere fine Silvio Berlusconi che pronuncia il suo primo discorso da leader politico. È un momento storico. Berlusconi, parlando a braccio, senza uno scritto, senza un appunto, comincia così: “Mentre venivo qui, ho pensato che c’era un matto che stava andando a incontrarsi con altri matti…(profetico come pochi!) ebbene, pensando a questa follia che sembra aver contagiato tutti noi, e tanti altri insieme a noi, io pensavo che si era verificato ancora una volta quel che avevo scritto nella prefazione a un bellissimo libro, l’’Elogio della follia’ di Erasmo da Rotterdam (poichè a lui piace sempre dire cose nuove, diverse). In quella prefazione dicevo: è vera la tesi che viene fuori da queste pagine. Le decisioni più importanti, le decisioni più sagge, le decisioni più giuste non sono quelle che scaturiscono dal ragionamento, non quelle che vengono dal cervello, ma quelle che scaturiscono da una lungimirante, visionaria follia”. Le migliaia di persone che affollano la grande sala salutano con un lunghissimo applauso le parole dell’uomo che hanno scelto come loro leader e lo consacrano come il nuovo leader dei moderati italiani. Quella parte della società italiana – uomini e donne, ragazzi e anziani, operai e studenti, pensionati e professionisti, madri di famiglia e dirigenti d’azienda – che affolla la platea del Palafiera è immediatamente conquistata da un uomo che, rinunciando a tante sicurezze, si mette in gioco e rischia in prima persona per evitare al suo Paese un futuro soffocante e illiberale.
“Ho sentito – continua Berlusconi – una specie di responsabilità che non poteva essere elusa e, forse esagerando, mi sono sentito nella condizione di chi, dovendo partire per un bel viaggio si è trovato improvvisamente davanti qualcuno bisognoso d’aiuto. Ecco, nonostante la prospettiva del viaggio, della vacanza programmata, non sarebbe stato possibile girare la testa dall’altra parte, si sarebbe trattato di una vera e propria omissione di soccorso. È per questo – perché ci sentiamo tutti responsabilmente chiamati a uscire dal nostro egoismo per fare quanto possiamo per il nostro Paese – che noi siamo qui, che abbiamo risposto a questa specie di chiamata alle armi. È per questo che oggi noi siamo qui, con la volontà di cominciare da qui un lungo cammino, un cammino di speranza e di fiducia nel nostro futuro”. Comincia così una battaglia storica, epocale. Scrive Berlusconi “Credevo di avere finito con i traguardi e con gli obiettivi, credevo che la mia corsa fosse arrivata finalmente alla meta finale, credevo di poter fare il nonno, di leggere i libri che non ho letto, di vedere i film che non ho visto, di ascoltare le musiche che mi piacciono. Ma ecco profilarsi un pericolo grande per il nostro Paese, qualche cosa che poteva cambiare la nostra vita e soprattutto la vita delle persone a cui vogliamo bene: un futuro incerto, soffocante e illiberale. Ecco allora improvvisamente un nuovo irrinunciabile traguardo: garantire al Paese la permanenza nell’occidente, nella libertà, nella democrazia” (anche attraverso frequenti viaggi in Russia, Bielorussia e Libia: perchè quando vedi qualcuno bisognoso d'aiuto, non puoi girare la testa dall'altra parte...).
UN NUOVO MODO DI FARE POLITICA
Berlusconi sa comunicare davanti ai microfoni della radio, davanti alle telecamere, in diretta davanti a migliaia di persone. I suoi interventi non possono essere paragonati ai comizi di vecchio stampo. Preferisce ragionare, discorrere, rispondere alle battute degli ascoltatori, avvincerli col pathos e con l’ironia (attraverso barzellette sempre nuove e diverse, sottili, mai offensive, volgari o soprattutto blasfeme). Nei teatri e nei palazzetti dello sport quando è sul podio (esige scenografie lineari e riconoscibili ed ha eliminato gli schieramenti delle nomenklature di partito alle spalle dell’oratore) alterna gli interventi pronunciati dalla postazione fissa con brevi camminate sul palco, microfono in mano. E spesso scende tra la gente improvvisando un susseguirsi di domande e di risposte. La sua è un’abilità oratoria naturale affinata negli anni con l’esercizio, lo studio, le letture. Parla a braccio, preparando solo la scaletta e i punti chiave dell’intervento. Ricorda a memoria nomi, cifre, concetti (la sua memoria di ferro è ormai proverbiale. Non ha certo bisogno di scriversi gli appunti sul palmo della mano!). Non abusa nelle citazioni il che, considerato il “teatrino della politica” non è poco. Anzi. Come acutamente fa notare Paolo Guzzanti, “soltanto Berlusconi oggi in Italia ha quel dono particolare che gli permette, al di là dei contenuti informati e ben organizzati, di entrare in contatto diretto con un comune sentire collettivo che è negli occhi e nelle emozioni di una folla tutt’altro che amorfa. Anzi, una folla fortemente strutturata, che si aspetta dei messaggi e dei doni identici e complementari a quelli che sono già maturati autonomamente nelle persone singole che la compongono... Fra leader e pubblico è già operante un contratto stipulato attraverso emozioni di tipo morale. Il pubblico dei cittadini sente di aver fatto un investimento. Lui, Berlusconi, sente a pelle che quel contratto è operante e che su di lui si polarizzano attese forti, pesanti, complicate. Il pubblico che circonda il Berlusconi dei discorsi a braccio è, infatti, un pubblico fortemente emozionato, ma di un’emozione appunto di tipo morale”. Appunto, morale. Perché morale? Perché la gente, il popolo che si riconosce in Silvio Berlusconi, i milioni di italiani di tutti i censi che hanno fiducia in lui, gli hanno affidato le loro speranze di radicale cambiamento rispetto alla vecchia politica e ai vecchi partiti, il bisogno di modernità ed efficienza, la loro opposizione profonda e sentita al comunismo, l’amore per la libertà e la democrazia. Quando vanno ad ascoltarlo, sentono un’esigenza di verità. E Berlusconi non li delude mai. Non fa giri di parole, non esprime concetti fumosi, non usa bizantinismi (la foto qui accanto testimonia la totale assenza di giri di parole, concetti fumosi e bizantinismi). Parla con il cuore, dice cose semplici, scherza, ironizza, convince con argomentazioni chiare e nette e dopo un’ora, due ore filate le sue “azzurre” e i suoi “azzurri”, ammaliati e conquistati vorrebbero che ricominciasse daccapo.
1 commento:
parlare come si mangia è pure meglio se si parla quanto si mangia
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