Con questo titolo, C'era una volta la città dei matti, è andata in onda questa sera la prima parte della fiction incentrata su Franco Basaglia. E, FINALMENTE, la Rai ha portato sullo schermo un prodotto (termine non sempre adatto...) di un certo spessore, un lavoro di qualità. La fiction (altro termine, in questo caso, inadatto) si occupa della figura di Franco Basaglia, a trentanni dalla sua morte; Basaglia era uno psichiatra, anzi lo psichiatra a cui si deve la legge 180 del 1978, che rivoluzionò la psichiatria, e in particolare la cura dei cosiddetti malati psichici. E' proprio grazie a questa legge, che porta il suo nome, che vennero chiusi i manicomi in Italia, a partire proprio dal 1978. La chiusura totale e definitiva di queste strutture si è raggiunta soltanto nel 1999, dunque Basaglia ha fatto in tempo a vedere soltanto l'inizio di questo straordinario processo, da lui avviato.
Cominciò a lavorare nell'ospedale psichiatrico di Gorizia, e in questa struttura vede la luce e muove i primi passi il suo progetto, o battaglia, se vogliamo, date le difficoltà incontrate: le sue idee, definite "innovative e rivoluzionare", non sono ben viste nell'ambito della psichiatria. Elimina subito tutti i tipi di contenzione fisica e le terapie elettroconvulsivanti (elettroshock); non più luoghi di reclusione dove la cura passava attraverso letti di contenzione, camicie di forza, celle di isolamento; un mondo chiuso nel quale il rapporto tra personale e pazienti era a volte simile a quello tra carcerieri e carcerati, spesso "ergastolani". Vengono aperti i cancelli dei reparti. Non soltanto terapie farmacologiche, ma anche rapporti umani rinnovati con il personale. I pazienti devono essere trattati come uomini, persone in crisi. Fu l'inizio di una riflessione sociopolitica sulla trasformazione dell'ospedale psichiatrico. Dopo l'esperienza di Gorizia, si trasferisce a Trieste e istituisce subito, all'interno dell'ospedale psichiatrico, laboratori di pittura e di teatro. Nasce anche una cooperativa di lavoro per i pazienti, che così cominciano a svolgere lavori riconosciuti e retribuiti. La rivoluzione continua, l'obiettivo non è soltanto la trasformazione/restituzione della vita all'interno dell'ospedale psichiatrico, bisogna andare oltre : il manicomio va chiuso ed al suo posto dev'essere costruita una rete di servizi esterni, per provvedere all'assistenza della persone affette da disturbi mentali. "La psichiatria, che non ha compreso i sintomi della malattia mentale, deve cessare di giocare un ruolo nel processo di esclusione del "malato mentale", voluto da un sistema ideologico convinto di poter negare e annullare le proprie contraddizioni allontanandole da sé ed emarginandole". Nel 1973 Basaglia fonda il movimento Psichiatria Democratica (non fate caso alle iniziali...) favorendo la diffusione in Italia dell'"antipsichiatria". Nel gennaio 1977 viene annunciata la chiusura del manicomio "San Giovanni" di Trieste entro l'anno. L'anno successivo, il 13 maggio 1978, in Parlamento viene approvata la legge 180 di riforma psichiatrica. Purtroppo Basaglia morirà appena due anni dopo, il 29 agosto del 1980, per un tumore al cervello.
La fiction: come dicevo, un prodotto sorprendentemente di qualità, con un valido cast di attori prevalentemente a me sconosciuti. Franco Basaglia è interpretato da Fabrizio Gifuni, che a detta dei figli dello psichiatra, è riuscito a rendere bene la figura del loro padre, a coglierne la "normalità" (termine che non utilizzo a caso). Le scene più crude sono concentrate nei primi venti minuti circa, per far capire allo spettatore qual era la realtà dei manicomi all'epoca (Basaglia/Gifuni stesso lo definisce lager, non a torto), dopodichè spazio al suo lavoro rivoluzionario.
Per adesso il giudizio è positivo, lunedì alle 21:30 andrà in onda la seconda e ultima puntata. Mi riservo a domani sera il voto finale. Sperando bene, naturalmente.
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1 commento:
La seconda parte è stata meno riuscita della prima; c'era da trattare il "momento politico", la lotta di Basaglia per la chiusura dei manicomi, che invece è stato affrontato non dico in modo superficiale, però sicuramente poco approfondito. Si è preferito occuparsi delle storie di "contorno", quelle che servono in questi prodotti per tenere la "gggente" incollata allo schermo. Ovvero amori, abbandoni, gravidanze tormentate etc. Peccato, il voto avrebbe potuto essere molto più alto, ma dò comunque un buon 7. Che, per gli standard delle idee televisive italiche, è un voto bello alto...!
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